Galavotti (Cab Terra), l’eroe dell’alluvione: «Nessun aiuto dal governo. Il portale Sfinge troppo complicato»

Al momento la cooperativa ha ricevuto 600mila euro di aiuti dall’Unione Europea, a fronte di 1,8 milioni di danni subiti. Tra il 15 e il 16 maggio 2024, circa 800 ettari di coltivazioni sono state danneggiate dalla grandine. «Direi di nuovo sì al taglio degli argini per salvare Ravenna per senso di responsabilità verso una comunità di cui facciamo parte da sempre».

Non c’è pace per i terreni di Cab Terra, la cooperativa agricola più vecchia della storia nata nel Ravennate nel 1883, su terreni paludosi bonificati. A un anno di distanza dalla grande alluvione che ha devastato la regione, e in particolare la Romagna, la pioggia tropicale con grandine degli ultimi giorni ha provocato nuovi importanti danni alle coltivazioni.

A fare il punto di quest’ultimo anno vissuto intensamente è il presidente Fabrizio Galavotti, che nei giorni peggiori del 2023 è diventato ‘l’eroe dell’alluvione’. A lui è toccato dire di sì, in meno di 5 minuti e senza condizioni, al taglio dell’argine del canale e al conseguente allagamento di 200 ettari di terreno, per salvare Ravenna. E lo ha fatto restando fedele allo spirito di quei ravennati che 140 anni fa hanno creato la prima cooperativa braccianti d’Italia.

Galavotti, partendo dall’attualità: che danni ha avuto Cab Terra fra il 15 e 16 maggio di quest’anno?

«A causa della grandine e dell’acqua che si è riversata in alcuni campi, purtroppo si sono rovinate le coltivazioni di circa 800 ettari, oltre ad alcuni impianti agricoli. Tradotto in termini economici, si parla di circa un milione di euro di danni, con conseguenti impatti occupazionali negativi nel settore ortofrutta. La zona più colpita è quella a nord-ovest di Ravenna, come peraltro era già accaduto durante l’alluvione, che include le località di Santerno, Piangipane, Camerlona e Sant’Antonio. Ad avere la peggio sono state le produzioni di pesche, pere e pomodori, completamente azzerate. Anche le vigne, i cereali e la cicoria sono state compromesse».

Cosa non ha funzionato? Si poteva fare qualcosa in più nell’ottica della prevenzione?

«È dura da ammettere ma non di poteva fare nulla: è impossibile gestire 70 mm di acqua torrenziale in meno di mezz’ora. Si tratta di un evento che assomiglia molto ai temporali tropicali. Si può prenderne atto con la consapevolezza che non sarà l’ultima volta, ma come si fa a prevenirli?».

Tornando indietro nel tempo, a circa un anno, qual è il primo ricordo?

«Con quello che è successo negli ultimi giorni, non c’è neanche molto bisogno di ricordare… Purtroppo, il clima sta cambiando e appena si addensa una nuvola all’orizzonte, c’è sempre una certa preoccupazione. Posso però ricordare la sensazione più ricorrente, ormai sedimentata in quest’ultimo anno: un bel po’ di amarezza perché ci sentiamo lasciati a noi stessi. È vero che in Romagna ci siamo sempre dati da fare da soli, ma questo ha fatto sì che chi di dovere ne abbia un po’ approfittato».

Cosa ne è stato di quei 200 ettari di terreno alluvionati che sono serviti per salvare Ravenna?

«Siamo riusciti a coltivarli e ne siamo contenti. Non solo quelli ma anche i 500 ettari dietro l’abitato di Fornace Zarattini, anch’essi danneggiati. Dalle prime indagini effettuate, chiaramente sono emerse alcune anomalie, in particolare un aumento di sementi inquinanti, ossia di erbe infestanti. Inevitabilmente il terreno nel sottosuolo ne ha risentito e di conseguenze anche le colture».

E ora un capitolo spinoso: gli aiuti sono arrivati?

«A fronte di circa 1,8 milioni di danni stimati, come ricordato a un recente convegno di Legacoop, al momento gli unici soldi che abbiamo visto – un po’ come tutti gli agricoltori – sono i 600mila euro dell’Unione Europea, quindi circa un 35%, attraverso i fondi della riserva di crisi della Pac, la politica agricola comunitaria, che copre danni da alluvione, gelo e siccità».

E da parte del governo italiano?

«Nulla, neanche un euro. I numeri sono numeri, le parole sono parole. Chi non è dentro le cose, non può capire. I rappresentanti delle istituzioni dicono che sia tutto a posto ma la verità è che entrare nel mondo del portale Sfinge è terribilmente complicato. I soggetti abilitati a richiedere il rimborso sono 86mila, 70mila cittadini e 16mila imprese. Al momento i rimborsi sono stati solo 21, alla fine di un lungo iter burocratico. Noi stiamo presentando la domanda e le nostre associazioni di categoria si stanno muovendo. Vedremo. Non ci aspettiamo un rimborso al 100% ovviamente, visto che nel conto bisognerebbe mettere anche le mancate produzioni ed è impossibile…».

La fiducia rimane?

«La speranza è che si sia solo un ritardo. D’altra parte l’anno scorso si è perso tempo inutilmente anche per individuare il commissario. In più la struttura commissariale messa in piedi è molto più ridotta di quella prevista per il terremoto in Emilia, e non è presente sul territorio. Ma il timore è che non si sia solo un problema di lentezza burocratica. I soldi ci sono o no? Vedremo».

Come si è chiuso il 2023 per Cab Terra?

«Per forza di cosa i conti sono peggiorati, visto che su 2mila ettari di terreno 700 sono finiti sott’acqua e quindi senza produzione. Nei restanti 1.300 ettari le produzioni sono state discrete e, consideranti gli aiuti europei, siamo vicini al pareggio di bilancio. Abbiamo anche dovuto aprire rapporti con le banche per anticipare i lavori per la semina 2024. Nel complesso, chiuderemo l’anno con ricavi per 3,8 milioni, un bel calo rispetto ai 5,5 milioni degli anni normali. Di certo è che, con queste tempistiche di risarcimento, non ce la faremmo a sostenere un’altra alluvione».

Dal clima tropicale diceva prima che non ci si può molto difendere, dal rischio alluvione invece?

«Di questa portata, l’evento è certamente eccezionale come dimostrato anche dalla storia passata. Ma non ci si può rallegrare più di tanto perché i cambiamenti climatici sono in atto e non abbiamo certezze per il futuro. Bisogna prestare attenzione ed elaborare piani strategici preventivi, anche stabilendo un rapporto diretto con gli agricoltori abituati a tenere puliti i fossi di scolo, per rafforzare gli argini dei fiumi. In questo anno sono stati fatti dei lavori, ma c’è tanto da fare anche perché i fiumi nascono nelle colline che sono devastate. Ci vorranno anni per mettere in sicurezza il territorio».

In ultimo, tornando indietro direbbe nuovamente sì al taglio degli argini come richiesto dalla Prefettura?

«Certo, questo non è in discussione. Non lo abbiamo fatto per calcolo ma per senso di responsabilità verso una comunità di cui facciamo parte da sempre. Siamo riusciti a riprenderci, sappiamo invece che ci sono ancora persone fuori dalle loro case inagibili… Speriamo non ce ne sia più bisogno».

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