12 Mag 2024 10:23 - Cronaca
Fornace Zarattini a un anno dall’alluvione. «Mancano gli aiuti, anche psicologici»
A un anno dalla terribile sera del 18 maggio, quando è arrivata l'acqua fino a 1 metro e mezzo di altezza, il racconto di residenti, commercianti e imprenditori.
di Lucia Bonatesta
Nella sera del 18 maggio 2023 a Fornace Zarattini – frazione, ormai quartiere di Ravenna, dove hanno sede circa 170 attività e vivono 1.600 persone – l’acqua ha iniziato a salire dai tombini. Ha invaso progressivamente le strade e gli edifici, arrivando fino a 1 metro e mezzo di altezza. Nei punti a ridosso dei binari ha sfiorato i due metri. Poi ci ha messo circa una settimana a defluire.
Un anno dopo, via della Ferrovia, una delle più colpite, apparentemente sembra una strada come le altre. Due anziani sono seduti in un giardino a chiacchierare e una donna sta spazzando con cura le foglie davanti a una casa. Si chiama Ilaria Lugaresi. «Cerco di mantenere pulito il marciapiede – spiega – in modo che le foglie non finiscano nei tombini. Ogni volta che piove la strada si copre d’acqua fino all’altezza del marciapiede e torna la paura».
«L’acqua arrivava fin qui», racconta, avvicinandosi alla facciata e alzando il braccio per indicare il punto in cui erano arrivati i segni dell’alluvione.
Nella casa bianca vivono in realtà i suoi genitori ultranovantenni, costretti per lo più al piano terra, a causa dell’invalidità del padre. Ilaria spiega di essersi occupata da sola di tutto il ripristino dopo l’alluvione e che i suoi genitori sono rientrati dopo 4 mesi. «È stato un anno difficile. La cosa che mi è pesata di più è stato il mancato supporto psicologico. La Regione aveva promosso un percorso di supporto agli alluvionati, mi sembrava una bella cosa e ho partecipato. Peccato che consisteva in sole tre sedute e per continuare bisognava pagare. Come se le spese da sostenere non fossero già abbastanza», racconta.
«Non ho voluto vedere. L’alluvione me la sentivo qui dentro»
I Lugaresi hanno dovuto sostituire completamente l’impianto elettrico e idraulico, nonché tutti i mobili del piano terra, compresa la cucina, che è stata loro donata dalla Caritas. «Nel complesso abbiamo speso circa 50mila euro e i rimborsi sono bastati sì e no a pagare un operaio. So che dovrei compilare il modulo Sfinge, ma in questo momento non ne ho la forza. Ci vuole tempo, energia e soprattutto una perizia, che va pagata».
Lugaresi, per stare dietro alla casa dei genitori, si è presa un periodo di pausa dal lavoro. Inizialmente sembrava che dovesse comunque ricevere parte dello stipendio, ma invece non è stato così. Oggi, dunque, per rientrare nelle spese che ha sostenuto si trova costretta a svolgere due lavori.
«Abbiamo perso anche la macchina. Speravamo di ricevere un rimborso almeno per quella, ma alla fine lo ha avuto solo chi ne ha comprata una nuova. Non è stato il nostro caso, vista l’età dei miei».
Mentre Ilaria racconta che in quei giorni ha ritrovato l’unico collier d’oro di sua madre in un mobile che era già stato messo in strada, dalla porta di casa esce proprio la madre, che, nonostante tutto, sorride. «Io non ho voluto vedere. L’alluvione me la sentivo qui dentro – dice, indicandosi il petto -. A 90 anni sapere che la casa in cui hai abitato per tanto tempo, con tutti i tuoi ricordi, si trova in quelle condizioni fa male. Ma per fortuna siamo qui. Se fosse accaduto di notte non ce l’avremmo fatta».
Marino Poli: «Mia madre ha visto l’alluvione del ’66 ed è un bene che non abbia visto questa»
Via della Ferrovia è uno dei primi insediamenti di Fornace, oggi abitata per lo più da anziani. Di alluvione ne aveva vista un’altra nel 1966 quando aveva esondato il fiume Montone. A raccontarlo è Marino Poli, che qui è nato e cresciuto. «Lo ricordo bene, allora l’acqua era arrivata fino a 60 centimetri, 100 in meno rispetto allo scorso maggio, ma a quel tempo la nostra casa aveva solo il piano terra. Eravamo dovuti andare a ripararci al primo piano di un vicino ed erano venuti a recuperarci i pompieri. Eravamo rimasti fuori casa per un mese, sfollati a Castel Bolognese da alcuni parenti. Allora avevo 5 anni, non andavo ancora a scuola».
«Mia madre ha visto l’alluvione del ’66 ed è un bene che non abbia visto questa. Avrebbe avuto 92 anni e sarebbe stato un dolore enorme». La casa di Fornace Zarattini al momento dell’alluvione era disabitata, poiché la madre di Poli, che ci viveva sola, è venuta a mancare nel 2022. A maggio si stava muovendo per venderla.
«Non essendo residente a Fornace – racconta -, non ho ricevuto nessuno degli indennizzi previsti fino a oggi. Dovrei rientrare nel Modulo Sfinge, dove però i rimborsi sono commisurati alle spese di ristrutturazione. Noi al momento non abbiamo fatto grandi lavori: non avevamo esigenza di rientrare, perciò abbiamo voluto aspettare, in modo che i muri liberassero tutta l’acqua. Presto inizieremo i lavori e proveremo a compilare il modulo».
Giovanna Mancini (tabaccheria): «Qui per mesi non s’è visto nessuno. La comunità era sfollata e si è lavorato poco»
Risalendo la via, dirigendosi verso la Faentina, all’angolo si incontra la tabaccheria, gestita da Giovanna Mancini e fratello. «L’acqua qui per fortuna è arrivata solo a circa 60 centimetri da terra – ricorda – e siamo riusciti a salvare i mobili. Abbiamo dovuto buttare via una 50ina di stecche di sigarette, oltre a tutto quello che tenevo nei ripiani più bassi. Abbiamo sostituito un frigorifero e la macchinetta all’esterno, che avevano la scheda madre danneggiata. Un danno di circa 8 mila euro».
«Il problema più grosso – spiega – sono stati gli introiti mancati. Qui per mesi non si è visto nessuno. Noi lavoriamo con la comunità e se la comunità non c’è, non lavoriamo. Da quel punto di vista, è stato un anno buttato. Di rimborsi pubblici abbiamo ricevuto qualche centinaia di euro, non di più. Fortunatamente abbiamo ricevuto qualcosa dalla Federazione Tabaccai».
Riccardo Minghetti (Destauto): «Alle 22.30 la situazione sembrava stabile. A mezzanotte, l’allarme: l’acqua copriva i tettucci delle auto»
Tornando verso la città, dal lato opposto di via Faentina si incontra Destauto, concessionaria ravennate attiva dal 1992. «Sono andato via intorno alle 22.30 del 18 maggio – racconta Riccardo Minghetti, uno dei proprietari – e l’acqua si vedeva in lontanza, dall’altro lato della strada. Non credevo che potesse arrivare fino da noi. Invece, intorno a mezzanotte hanno iniziato a suonare gli allarmi e dalle ultime riprese ho visto l’acqua arrivare fin sopra ai tettucci delle auto. Poi c’è stato il corto circuito e non abbiamo più saputo niente, fino a quando non siamo potuti tornare».
«Come politica aziendale – spiega -, abbiamo scelto di rottamare tutti i veicoli danneggiati (circa l’80%) e rimborsare tutti i clienti. Ci è voluto parecchio tempo e molti sforzi logistici. Nell’emergenza si sono rivelati fondamentali il rapporto di fiducia sviluppato negli anni con clienti e dipendenti, nonché il supporto di un broker assicurativo». L’azienda, infatti, aveva una forte polizza assicurativa che ha coperto parte del danno. Al contrario, da parte delle isituzioni non sono arrivati indennizzi.
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