Faenza: le testimonianze di chi ha visto il fango invadere la propria casa. Tra amarezza e speranza

A un anno dalla sera del 16 maggio 2023, quando Lamone e Marzeno hanno esondato, c'è ancora molto lavoro da fare e alcune persone non sono rientrate a casa. Il racconto di residenti, sfollati e operatori del sociale. La solidarietà ha funzionato, ma sono mancati i ristori.

C’è un’ampia finestra nel salone della casa della famiglia Malavolti da cui si vede il fiume. Marito e moglie vivono in via Comerio a Faenza e il fiume – oggi coperto da un muro – è il Lamone. Erano proprio lì la sera del 16 maggio 2023, quando l’argine si è rotto sotto la spinta dell’acqua, esattamente nel punto in cui adesso c’è il muro.

Nei giorni dal 2 al 17 maggio 2023 in Emilia-Romagna sono esondati 23 corsi d’acqua, causando circa 40mila sfollati. Sono state coinvolte 7 province: a Faenza la pianura è stata invasa da acqua e fango, mentre oltre 80.000 frane hanno ridisegnato l’Appennino. I danni sono stati stimati in circa 8,5 miliardi di euro.

Il racconto della famiglia Malavolti: «La solidarietà ha funzionato, per il resto c’è molta confusione»

Racconta Marisa Malavolti: «Intorno alle 20.30 siamo saliti al primo piano. Abbiamo portato su un paio di ricordi dalla cantina e li abbiamo appoggiati nel piano ammezzato. In lontananza si sentivano degli annunci, ma non riuscivamo a capire cosa dicessero. Da qui l’auto non è passata: solo dopo abbiamo capito che dicevano di evacuare. Poi, l’acqua è arrivata. Dal primo piano sentivamo le botte dei mobili che cadevano in cantina sotto la spinta dell’acqua. A un certo punto l’acqua è arrivata all’ultimo gradino, coprendo completamente gli oggetti che avevamo salvato. Ma per fortuna lì si è fermata e noi siamo rimasti all’asciutto».

«Al primo piano con noi c’era mia madre 90enne – racconta Marisa – che abita al piano terra. Il suo appartamento è stato completamente distrutto. Guardavamo fuori e il quartiere si era trasformato in un lago. Vedevamo delle fiamme provenienti da una casa del vicinato, dove probabilmente non avevano staccato l’impianto elettrico. Le Forze dell’Ordine ci hanno detto di salire sul tetto, ma la scala era rimasta in cantina ed era impensabile far salire mia mamma su una scala a pioli. Siamo rimasti tutta la notte a vagare tra il salotto e il terrazzo, illuminati solo dalle candeline che usiamo per i compleanni delle nostre nipoti. Poi sono venuti a recuperarci in gommone».

A un anno di distanza da quei giorni, Marisa e il marito Massimo ricordano soprattutto la vicinanza dei tanti volontari arrivati da tutta Italia per aiutare la città a rialzarsi, alcuni dal Trentino altri dal Centro Italia. Insieme hanno costruito un pupazzo di fango, che è rimasto nel loro giardino fino ad aprile. Non credevano che arrivasse una risposta così forte dalla comunità.

«Alla risposta delle istituzioni, invece, preferisco non pensare», dice Marisa che, nei giorni della ricostruzione, è stata ricoverata in ospedale per un infarto.

«Sul momento è mancata la comunicazione – sottolinea il marito -, avremmo potuto evacuare o salvare più ricordi. Ma soprattutto il problema sono i rimborsi. Stiamo cercando di capire come compilare il Modulo Sfinge, ma i periti sono molto restii a farlo. Abbiamo parlato con i tecnici di Figliuolo e loro stessi ci hanno detto di aspettare, che forse sarebbe uscita qualche versione semplificata. C’è molta confusione».

Un anno dopo l’alluvione sono stati versati 70,9 milioni di euro di contributi di immediato sostegno (Cis), che hanno visto arrivare i ristori nelle ultime settimane. Ancora però molte famiglie attendono di rientrare nelle loro case: a metà febbraio – ultimo dato aggiornato disponibile – erano ancora 1.868 nuclei familiari titolari di un Contributo di autonoma sistemazione (Cas).

Nadia Bertozzi: «Non sono ancora tornata a casa»

A pochi passi da casa della famiglia Malavolti, c’è via Lapi, dove i segni dell’alluvione sono enormi: case vuote con le finestre aperte, infissi appoggiati a terra, saracinesche chiuse. Sono ancora tanti gli sfollati in varie zone della città.

Tra chi ancora non è rientrato a casa c’è Nadia Bertozzi, che insieme al marito e a un figlio adolescente viveva nel villaggio di Villa San Martino, appena fuori Faenza, nato intorno a un vecchia fornace, allo scopo di riqualificarla. A danneggiare la loro casa – composta da piano terra e taverna – non è stato il Lamone, bensì il Marzeno.

«Se avessi dovuto spiegare dove si trova la mia casa, il Marzeno non lo avrei neanche nominato. Mai e poi mai avrei pensato che quello che consideravo poco più che un torrente, potesse esondare con una potenza del genere», racconta.

Nella sera del 16 maggio, Bertozzi era evacuata insieme alla famiglia a casa della sorella, qualche decina di metri più in alto rispetto alla sua. Da lì, purtroppo, godeva di una visuale perfetta e ha visto in diretta l’acqua invadere il villaggio.

Oggi la famiglia di Nadia è ancora fuori casa, un amico fortunatamente le ha messo a disposizione un appartamento in centro. L’idea era quella di aspettare un rimborso pubblico, in relazione al danno subito. Oggi, un anno dopo, quella prospettiva è ormai irrealistica: il rimborso viene dato in relazione ai lavori effettuati.

«Per me quella casa sostanzialmente era nuova. Mi ci sono trasferita 16 anni fa, quando è nato mio figlio. L’idea di fare i lavori in fretta e furia non mi piaceva, la casa deve tornare ad essere un luogo accogliente, anche e soprattutto per mio figlio, che ha vissuto prima il Covid e poi l’alluvione negli anni delicati dell’adolescenza», spiega.

Cooperativa Zerocento: «Abbiamo trovato i ciucci dei bambini incastrati nel controsoffitto»

L’asilo “Il piccolo principe”

Adolescenti sono anche i ragazzi che vivono nella comunità per minori allontanati dalle famiglie “La casa ritrovata”, della Cooperativa Sociale Zerocento di Faenza. Quando è arrivata l’acqua i ragazzi – il più piccolo aveva 8 anni – sono corsi al primo piano, occupato da un centro per minori stranieri non accompagnati, poi sono riusciti a correre fino in piazza e trovare il supporto delle forze dell’ordine. «I più grandi portavano i spalla i più piccoli e così sono arrivati al riparo», racconta la Cooperativa.

Prima hanno passato due settimane al Pala Cattani, poi sono stati sfollati fino ad agosto nei locali del Seminario di Faenza, sistemati in due grandi camerate, una per i maschi e una per le femmine. «Abbiamo deciso di dare grande priorità ai lavori per la comunità perché molti ragazzi hanno bisogni particolari. Arrivano da situazioni difficili e da tutta Italia, era importante farli rientrare in un contesto idoneo al più presto. Sono riusciti a rientrare ad agosto del 2023» spiega Zerocento.

Tra le altre strutture della cooperativa sono state danneggiate le sedi di Faenza, il nido Tatapatata, che è riuscito ad aprire dopo poco più che una settimana dall’alluvione, grazie ad un pavimento provvisorio e Il Piccolo Principe, ancora chiuso. «Abbiamo trovato i ciucci dei bambini incastrati nel controsoffitto», racconta.

L’asilo nido, che si trova proprio sotto l’argine del Lamone, nel quartiere ‘borgotto’ di Faenza, ha visto 3 metri e mezzo d’acqua al suo interno. I bimbi che ospitava, oggi, sono spartiti tra altre strutture della città. «Ci abbiamo pensato su molto se riaprire l’asilo o spostarlo altrove, ma alla fine abbiamo scelto di restare nello stesso punto. I lavori dovrebbero finire entro settembre. Il Piccolo Principe è un servizio per la comunità e risponde a un bisogno del quartiere, che oggi è uno dei più colpiti dall’alluvione, abbiamo preferito non abbandonarlo. A marzo abbiamo fatto un open day, mostrando i render di come sarà la struttura una volta finita la ristrutturazione. La risposta è stata molto positiva: l’asilo aprirà pieno, le iscrizioni sono già al completo», spiega la Cooperativa.

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